Secondo l’Associazione Verace Pizzeria Napoletana, la pizza marinara è una delle uniche due vere pizze napoletane riconosciute insieme alla margherita. Eppure, soprattutto lontano da Napoli, viene spesso sottovalutata, fraintesa e ridotta a una pizza troppo semplice e con pochi sapori. Che sia la più semplice è fuor di dubbio, ma è proprio questa semplicità a renderla la pizza che più di tutte fa emergere la natura più pura e tradizionale della pizza, quella che permette di capire la qualità del cornicione, del pomodoro e dell’olio, che in altre pizze vengono inevitabilmente nascosti da strati e strati dei più disparati ingredienti. Come scrive Luciano Pignataro di Top 50 Pizza, “Qualsiasi pizzaiolo, star o sconosciuto, per me viene pesato dalla capacità di fare la marinara.”
Ma la pizza marinara non è solo questo, e non è solo passato e tradizione, e si mostra capace di guardare anche al futuro. Prima di tutto, è vegan, a ricordarci che il cibo vegan non è per forza quello in cui formaggio e carne vengono sostituiti – a volte basta toglierli. È solitamente ARFID-friendly grazie alla sua semplicità. Ed è anche tra le più salutari e quella dal contenuto calorico più basso.
Ma soprattutto, e questo è quello che queste nostre pagine vogliono fare emergere, è buonissima. Non sempre, per carità. Quando riesce bene, il pomodoro, l’origano, l’aglio e l’olio creano un connubio paradisiaco che si scioglie sul cornicione morbido e fragrante. Quando riesce male… beh, lo troverete in alcune delle recensioni.
Ma come e quando nasce la pizza marinara? Storie e storiografie diverse trovano diversi punti d’incontro. Si ritiene che la pizza marinara sia nata nel 1734 e che fu il risultato di una serie di addizioni e sottrazioni a livello di ingredienti dettate da classe e gusto. Prima di tutto, sebbene la pizza marinara contenesse inizialmente acciughe, il nome “marinara” non ha nulla a che fare con il pesce, come viene frainteso soprattutto all’estero. Al contrario, la pizza marinara si chiama così perché era il piatto caldo di cui si cibavano i marinai prima di andare in mare, ed erano proprio i marinai a non potersi permettere un ingrediente costoso come il pesce, sostituito quindi dall’aglio da un coraggioso pizzaiolo del porto. Ma insieme all’aglio, e prima ancora alle acciughe, almeno all’inizio, non c’era il pomodoro, bensì capperi, origano, olive nere di Gaeta e olio. Fu proprio dal 1734 che il pomodoro, ormai popolare nelle tavole partenopee, venne aggiunto definitivamente sulla pizza marinara, che fu chiamata per secoli “olio e pomodoro” per poi ritrovare solo nel ventesimo secolo il nome legato ai suoi primi grandi mangiatori.
Dando per scontato, come abbiamo visto, che la pizza marinara ha poco a che fare con le acciughe, vediamo brevemente quali sono gli ingredienti usati solitamente dai migliori pizzaioli.
L’ingrediente che regna su tutti è ovviamente il pomodoro. Quello più comune è il pomodoro di San Marzano dell’agro sarnese-nocerino, che dal 1996 è un prodotto a denominazione di origine protetta. Ma non è raro trovare anche altro sulle migliori pizze marinare. A volte, sopra una base di pelati San Marzano, si possono trovare pomodorini come quelli del Piennolo del Vesuvio. Altre volte, i pizzaiolo osano combinazione di tre, quattro, cinque pomodori diversi, passati o pezzi, rendendo l’incontro tra i sapori sicuramente molto interessanti, anche se spesso poco apprezzato dai più puristi.
L’origano appare sulla pizza marinara in varietà con nomi diversi ma che sono quasi sinonimi – di montagna, di collina, selvatico – ma è un ingrediente fondamentale per la pizza. Lo stesso vale per l’aglio. Spesso viene preferito l’aglio della valle dell’Ufita, in Irpinia, ma non è raro imbattersi in creazioni più particolari: c’è chi usa l’aglio rosso, chi usa direttamente sugo all’aglione, e così via. E poi c’è la disposizione dell’aglio: chi lo sminuzza in pezzi finissimi andando a insaporire tutta la pizza e a dargli un sapore più forte, chi ne mette solo qualche pezzo grande al centro per fargli sprigionare tutto l’aroma durante la cottura e poi permettere al cliente di scegliere se mangiarlo oppure no, e poi ci sono le infinite vie di mezzo tra queste due scuole.
Anche un ingrediente come l’olio viene usato in modo diverso da pizzaioli diversi. Se è vero che la maggior parte usa pomodoro extra vergine d’oliva, spesso dal sapore fruttato, c’è anche chi usa olio di semi (di girasole, di soia, e così via) e viene per questo aspramente criticato. Non si tratta di pizzerie scadenti o poco in vista: la stessa Pizzeria da Michele a Napoli è famosa per usare olio di semi! Un’ultima distinzione è tra chi, la maggioranza, lo mette prima della cottura, e chi lo mette a crudo per meglio far sprigionare gusti e fragranze erbosi e naturali.
Il basilico, infine. A volte c’è, a volte non c’è, ed è un’arma a doppio taglio. Se la freschezza che dona non va a scontrarsi con gli altri ingredienti, ben venga. A volte, però, si esagera e si scambiano le foglie di basilico per elementi estetici che rovinano il connubio tra pomodoro, aglio e origano.
Secondo AVPN, la ricetta classica della marinara deve per forza includere questi ingredienti e quantità.
• Pomodoro pelato 70-100 g
• Olio di oliva extravergine 6-8 g (tolleranza 20%)
• Aglio 1 spicchio (circa 3 g)
• Origano 0,5 g (un pizzico)
• Può essere gradita l’aggiunta di qualche foglia di basilico.
Lo stile di AVPN è chiaramente totalitario e dogmatico, cosa che qui su Solo Marinara rispettiamo al 100%. Di conseguenza anche la ricetta della marinara viene enunciata in termini quasi dittatoriali, guai a sgarrare. Nel mondo reale e libero molti pizzaioli non rispettano queste indicazioni riuscendo comunque a produrre una pizza fantastica, anche se forse non propriamente tradizionale nel senso più stretto del termine.
Ecco quindi la ricetta di AVPN:
Con un cucchiaio si depongono al centro del disco di pasta il pomodoro
pelato frantumato (è consentito l’uso di pomodori freschi tagliati in
aggiunta o in sostituzione del pomodoro pelato). Lo spicchio d’ aglio, privo
della corteccia dura, viene tagliato in fettine sottili con un “raschietto”; le
fettine vengono sparse sulla superfcie del pomodoro. L’origano viene
distribuito sulla superfcie del pomodoro con movimento ordinato. L’ olio di
oliva viene deposto con movimento a spirale, partendo dal centro verso la
periferia, utilizzando un contenitore inerte o il tradizionale orciuolo in rame
con becco sottile.
Negli ultimi anni il dibattito più vivo nel mondo della pizza è stato quello legato alla pizza contemporanea: la pizza più piccola, con il cornicione alveolato “a canotto” che in molte pizzerie ha sostituito la più tradizionale ruota di carro tipica delle pizzerie napoletane che strasborda dal piatto. Se è vero che la pizza contemporanea è più leggera e la pizza tradizionale è più legata a certe origini e tradizioni, sarebbe un errore credere che la tradizionale non si sia a sua volta evoluta col tempo, tanto che alcune delle più innovative pizzerie di Napoli puntano proprio su quest’ultima.
In ogni caso, su Solo Marinara, le tratteremo entrambe, anche perché la linea che divide i due tipi in fondo può anche essere piuttosto sottile. Le tratteremo, sì, a patto che siano pizze napoletane preparate con cognizione di causa, cura e passione – si spera – e non semplici pizze margherite senza formaggio. Ecco l’unica regola: la pizza marinara come pizza vera e propria e non come pizza senza ingredienti.